Herman Vahramian, la diaspora della Mente
Herman Vahramian, l'amico gentile
L'artista iraniano di origine armena con interessi poliedrici
Metz yeghern, “il grande crimine”, così gli armeni chiamano il genocidio compiuto dall’impero ottomano contro la popolazione armena. Le uccisioni cominciarono nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, quando furono eseguiti i primi arresti tra l’élite armena della capitale Costantinopoli. In un mese più di mille intellettuali, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e parlamentari furono deportati. Il massacro sistematico, le deportazioni e la pulizia etnica hanno provocato la morte di milioni di armeni. La Turchia non ha mai riconosciuto questo crimine e molti paesi, nel timore di reazioni turche, non lo ammettono.
Quest’anno, in Armenia, la commemorazione delle vittime del primo genocidio di massa del secolo scorso è stata svolta in condizioni particolari, a causa dell’emergenza sanitaria. Si è tenuta in silenzio, senza la marcia abituale e con lo spegnimento di tutte le luci delle città. Al Memoriale delle vittime è rimasta accesa soltanto la fiammella che ricorda il massacro e il monumento attorniato di fiori.
Uno dei più noti intellettuali armeni in Europa è stato Herman Vahramian, un caro amico che ho conosciuto a Milano negli anni Novanta. Nasce a Teheran il 29 novembre 1939 da genitori armeni. Artista, architetto, intellettuale, editore, è stato una delle voci più interessanti della diaspora armena in Italia e in Europa. Si era trasferito in Italia stabilmente nel 1965, a Roma, laureandosi architetto nel 1972 presso il Politecnico milanese. Subito dopo si sposta definitivamente a Milano e nel 1978 fonda con Agopik e Setrag Manoukian l’I/COM (Istituto per la ricerca e la diffusione delle culture non-dominanti); nel 1981 a Monaco di Baviera dà vita, con il compositore Ludwig Bazil, all’Istituto MUSICAM per la diffusione delle musiche non-dominanti; nel 1985 crea con Manoukian le Edizioni OEMME che pubblicano svariati studi sul patrimonio artistico e culturale armeno.
Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, è stato un artista versatile e coraggioso promotore di imprese culturali ‘‘trasgressive’’ nel mondo armeno e italiano. È autore di numerosi saggi e pubblicazioni sulle culture e sulle realtà dei Paesi mediorientali.
Avvalendosi della propria vena di polemista, di studioso delle culture antiche ma anche curioso delle molte realtà inedite presenti in un mondo globalizzato, oltre che di intellettuale europeo proveniente da un paese di cultura islamica, intraprende il lavoro di giornalista. Ad accoglierlo è Avvenire, testata quotidiana che possiede una forte tradizione di apertura a temi “non italiani”. Nel corso degli anni escono numerosi articoli a sua firma, prevalentemente ma non esclusivamente imperniati su tematiche mediorientali, dal tono sottilmente provocatorio. Nel contempo si dedica con passione all’attività di disegnatore satirico: sue vignette escono su Avvenire, sul Manifesto, su Nigrizia.
In parallelo si dà con impegno crescente all’attività di pittore e scultore. Si allontana dalle più rigorose creazioni giovanili in bianco e nero, che compongono una sorta di codice di segni non estraneo alla scrittura in uso nel suo paese d’origine, e scopre la profusione del colore, nel tentativo costante di realizzare una contaminazione feconda tra la cultura occidentale e quella mediorientale; impara a usare il colore in immagini astratte di forza dirompente e lo adotta anche, con piena libertà, nell’ultima delle sue avventure, la scultura in terracotta colorata “a freddo”, dando vita a un universo originale di inquietanti creature a metà strada fra l’umano e il fantastico.
Ha partecipato a numerose mostre pubbliche e private in Italia e in Germania. Ne ricordiamo alcune: Sculture, carte e un dipinto, Galleria San Fedele, Milano 1992; Dipinti e sculture, A&Z Galleria d’arte, Milano 1994; Sculture, Museo Archeologico, Milano 1997; Diaspora della mente. Opere su carta e sculture. Mostra antologica 1981-1994, Spazio Guicciardini, Milano 2006.
Nel 1992 esce Diaspora della mente. Conversazioni con Herman Vahramian di Ornella Rota, Agopik Manoukian e Andrea Beolchi (Edizioni Tranchida), e nel 2002 con le Edizioni Medusa pubblica il volume Il pensiero nano al tempo della globalizzazione. Nel 1995 nasce il figlio Pietro, al quale Vahramian dedica la sua ultima fatica, un singolare testamento spirituale e una consegna delle memorie che ora trova forma nel volume Libro per Pietro. Memorie per un figlio, edito da Medusa nel 2015.
Herman ci ha lasciati il 26 settembre 2009, a Milano, dopo una lunga malattia.
Il discorso di addio pronunciato da un amico ai funerali di Herman:
Per Herman
Agopik Manoukian, 29 settembre 2009
Qualche parola soltanto per esprimere i sentimenti che mi attraversano in questo momento di distacco da un amico armeno che conosco da tanto tempo e con il quale ho condiviso tanti progetti e iniziative culturali, tante speranze e delusioni. Ma parlo anche per dare voce e presenza a tanti armeni amici ed estimatori di Herman che oggi avrebbero voluto essere qui ma abitano a chilometri di distanza… in Francia, in Persia, in Germania.
Sono parole che cercano di aiutarmi e aiutarci a prendere congedo e ad elaborare la fine di una vita che si è spenta in silenzio, con grande dignità, senza parole, senza un messaggio esplicito.
Le mie non vogliono essere parole celebrative. Sarebbe come chiudere una porta. Non intendono nemmeno tentare di ripercorrere tutte le attività e le opere di cui Herman è autore: sculture, quadri, opere grafiche, articoli di giornale, libri, eventi e testi. Fino all’ultimo, al quale negli ultimi tempi ha lavorato e che ha potuto vedere solo nelle ultime settimane ancora in bozze, o a quello più segreto che da anni stava assemblando per raccontare a Pietro la propria storia.
Una produzione di grande ampiezza di cui lui stesso ha redatto un interminabile elenco. Sono certo che in altre sedi in altri momenti sarà possibile accostarla con riletture approfondite.
Qui, oggi vorrei soltanto tentare di esprimere con un po’ di emozione e commozione quello che secondo me Herman ci lascia come traccia, come consegna e che è stato il suo modo di pensare, il suo modo di essere, il suo immaginario. E il suo modo di vivere il tempo e lo spazio.
Herman nasce a Teheran da genitori armeni. Gli armeni sono una minoranza che è in Iran da secoli, e da secoli mantiene la propria identità linguistica e culturale. Gli armeni sono la minoranza attiva che fa da ponte con l’esterno. Sono la minoranza imprenditrice. Sono integrati nella società iraniana – ma il riferimento prevalente per gli armeni, oltre alla coscienza del proprio passato, è l’Occidente anglosassone. Herman cresce con questo triplo riferimento linguistico e culturale.
In un’intervista di ben quindici anni fa mi aveva spiegato che
«Coloro che lasciavano l’Iran andavano quasi sempre nei paesi anglosassoni. Quei paesi erano considerati il “luogo in cui si diventa uomini”. E questo io lo rifiutavo. Nello spostarmi a Occidente mi sono fermato a metà strada, in Italia. Ma qui mi sono sentito estraneo, esiliato, portatore di un atteggiamento complesso con cui ho dovuto fare i conti per anni. Ero in un paese nei confronti del quale potevo far valere una mia certa superiorità. Per esempio quella di conoscere meglio degli italiani la cultura anglosassone che pure rifiutavo».
Per studiare, Herman non va quindi né a Londra né negli Usa. Si ferma a metà del percorso: Roma prima e in seguito Milano. Quindi un nuovo contesto linguistico e culturale. Armenia, Iran, mondo anglosassone e Italia: quattro culture, quattro storie che rappresentano l’universo immaginario entro il quale Herman costruisce il proprio pensiero. Sono come un quadrante. Provo ad individuarne alcuni aspetti:
Un pensiero cosmopolita, in cui lo spazio non ha confini né muri. Anche se la maggior parte della sua vita la trascorre a Milano, il pensiero di Herman non è mai circoscritto ad un luogo: non scrive storie locali, non si fissa sulla propria origine armena, è contrario a ogni nazionalismo, a ogni lotta per difendere interessi particolari, per affermare la propria diversità.
È un pensiero che usa la storia, la attualizza. Nel suo raccontare, il tempo si accorcia. Ha alle spalle un passato lungo, la ricchezza di millenni di storia: quella dell’impero persiano. La millenaria storia del popolo armeno… Ed usa questa ricchezza di riferimenti per interpretare e raccontare il presente. Una specie di pozzo profondo dal quale trae coralli, perle, riferimenti inconsueti che con fili sottili lega alle vicende di oggi. A volte per mostrarne la falsa novità. O la reiterata ripetizione.
È una lettura della storia fatta per immagini, dove a volte il mito prende il sopravvento e si trasforma in un filo d’Arianna che ci riporta alla presunta genesi degli eventi. Come nel bell’articolo che Herman scrive sugli Zingari, in cui la ricerca corre così addietro fino a trovare nelle loro danze la genesi della musica stessa: «Secondo una mitologia diffusa fra tutti i popoli mediorientali il mondo iniziò per volontà divina con un big-bang musicale. Se questa era la genesi, la Terra aveva bisogno di ricordare costantemente l’attimo della propria creazione. Per questo ogni giorno occorreva battere coi tacchi la terra e suonare e cantare qualcosa. Così nacquero il canto e la danza e la musica, sia in ambito religioso che in ambito popolare».
Un pensiero che ha il gusto delle connessioni: lo ritroviamo ovunque nei suoi testi: sono come dei puzzle di concetti e di riferimenti. Ma ancor più lo troviamo espresso nel mondo della grafica e dell’immagine. I suoi libri sono un mosaico di immagini. Dei collages incredibili. Ogni pagina è una costruzione fatta di rigore e fantasia. Non è solo una virtù pratica, ma un duttilità del pensiero che sa valorizzare i nessi e parlare attraverso i segni. Il libro sulla Persia è forse l’opera che più esprime questo pensiero…
Un pensiero che si muove ai margini delle grandi culture, le costeggia ma se ne distanzia e lavora per dare spazio alle culture minoritarie. Prima fra tutte quella armena. La sua è una posizione di confine: è dentro la storia del suo popolo ma la sua vera patria è il mondo intero. Il suo è un amore nascosto, che non viene mai esibito, ma è forte a tal punto che a volte se ne distanzia, non sopportandone le ferite.
E alla fine un pensiero che si traduce in una febbrilità artistica: la pittura, la scultura, la grafica, ma anche lo stile nel fare bene i lavori più minuti, con materiali semplici. Non solo scrive libri, ma sa anche fare i pacchi per spedirli, tiene i conti e sa cucinare per sé e per gli amici…
Ma ora ci ha lasciato… ci ha lasciato senza parole, ma con tutte le parole e le immagini che in tanti anni ha composto. Parole che forse avevamo a volte difficoltà a capire e interpretare. Perché lui era sempre più avanti. E soffriva nel vedersi a volte incompreso e misconosciuto da chi, arrivando in seguito, si appropriava delle sue idee e intuizioni. Per noi che l’abbiamo più a lungo conosciuto e con lui abbiamo condiviso fatiche e entusiasmi resta il compito che la multiformità dei suoi contributi non vada dispersa e cada nell’oblio, e che non si spenga in noi l’inquietudine e la passione che lo attraversavano. Quella stessa passione che meglio di me canta un poeta armeno, Ciarenz, morto nei campi di concentramento sovietici negli anni Trenta in una poesia in cui sembra aleggiare lo spirito di Herman:
Mi sono eretto un monumento
in un secolo difficile
quando crollava intorno
quel che anni e secoli avevano eretto.
Il monumento mio ho intessuto
di canti oscuri e profondi,
di pensieri nuovi e ardenti
che recano in sé la vita
e straripano, scaturiscono
dal cuore acceso del secolo.
Nacqui a Kars, ma il sole dell’Iran
mi fiammeggiò sempre nell’anima
come antica, inestinguibile,
nostalgia di patria.
Patria dell’anima mia
fu però il mondo intero.
Elise Ciarenz, Odi armene a coloro che verranno nell’interpretazione di Mario Verdone, Ceschina, Milano 1968, p. 53.
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Un portale dedicato in sua memoria. Vi trovate tante opere, foto, articoli, libri di e su Herman:
http://www.zatik.com/vahramian/default.asp
A 10 anni dalla sua scomparsa:
Un articolo di Irene Faro su un'opera di Herman:
http://irenefaro.blogspot.com/2010/04/la-donna-sole-di-herman-vahramian.html
un ricordo di Herman scritto da Marika Lion sulla rivista d'arte First Arte:
https://arte.firstonline.info/le-sculture-nomadi-di-herman-vahramian-e-la-vera-storia-degli-zingari/
articolo di Herman su Armenia, arte senza confini:
La mostra Diaspora della mente su Exibart:
https://www.exibart.com/evento-arte/herman-vahramian-diaspora-della-mente/
un articolo di Herman sul genocidio degli armeni:
http://www.gliscritti.it/blog/entry/3026
Herman ricordato dal blog dell'Associazione Armeni in Italia:
http://assoarmeni-romalazio.blogspot.com/2013/03/storie-della-diaspora-herman-vahramian.html